Più che parlare di candele di accensione in senso esteso in queste pagine vogliamo fornirvi solo alcuni elementi di riflessione che riteniamo utili per meglio comprendere il piccolo universo in cui si cimentano i costruttori di questi componenti.
A differenza dei motori ad accensione spontanea, i noti Diesel, i propulsori ad accensione comandata, o a ciclo Otto, o più semplicemente a benzina, utilizzano le candele per accendere la miscela aria/benzina. Questi elementi, malgrado le loro limitate dimensioni, sono il frutto di una tecnologia d’avanguardia. E sebbene il loro compito principale sia quello di innescare il processo di combustione, a essi vengono chieste caratteristiche tecniche di esercizio che le pongono tra i componenti più sollecitati all’interno di un motore a combustione interna.
La loro posizione all’interno della camera di combustione, per esempio, deve essere la più propizia per agevolare il processo di accensione della carica. E questo sia con il motore freddo sia a temperatura di esercizio. Allo stesso tempo devono anche assicurare milioni di accensioni senza mai manifestare il noto fenomeno del misfire, ossia delle mancate accensioni. Un compito arduo se si considerano le pressioni e le temperature di lavoro di questi componenti. Si tenga conto che le escursioni termiche a cui vengono sottoposte sono rilevanti visto che nei periodi invernali le zone più sollecitate della candela possono passare dai -40 °C a oltre 500 °C. E questo genere di sollecitazioni termiche deve essere sopportato per un numero di cicli elevatissimo. Ma non solo.
Se si pensa alle elevate pressioni che si generano all’interno della camera, si deduce immediatamente come deve essere elevata anche la loro resistenza meccanica così come la loro capacità di tenuta per evitare che ci sia fuoriuscita di gas attraverso la superficie di contatto tra candela e testa.
Le stesse caratteristiche del combustibile, spesso, inducono un’aggressività chimica nei confronti della porzione di candela che si affaccia in camera di combustione. Proprio per questo motivo, se il grado termico della candela, di cui parleremo poco più avanti, non è corretto, allora sarà possibile riscontrare diversi livelli di incrostazione degli elettrodi e della zona adiacente.
Tutto quanto detto fino ad ora basterebbe per dimostrare quali difficoltà si trovano a fronteggiare questi componenti. In realtà non è finita perché attraverso una candela di accensione passa una tensione di oltre 30.000 volt, il potenziale necessario per la formazione dell’arco tra elettrodo di massa e centrale. L’isolatore ceramico, sempre durante questo processo, deve, a sua volta, riuscire a evitare che, sotto tale tensione, l’energia si scarichi altrove. La resistenza elettrica che costituisce l’isolatore deve arrivare a sopportare temperature anche di 900 °C.
Di cosa è fatta una candela?
Una candela tipo si compone sostanzialmente di tre materiali: vetro, ceramica e metallo. Come è immaginabile ognuno di questi materiali viene utilizzato per le sue proprietà specifiche. Il vetro, ad esempio, viene utilizzato come guarnizione sigillante per annegare l’elettrodo centrale all’interno dell’isolatore. La struttura particolarmente densa della parte realizzata in ceramica consente di interrompere il passaggio di corrente e quindi di offrire la capacità isolante necessaria. La parte filettata della candela è realizzata in acciaio così come l’esagono che serve per avvitare la stessa all’interno della testa. La punta della parte filettata, quella per capirci, più vicina alla camera di combustione, viene rivestita con uno strato di nichel che previene la corrosione e migliora la scorrevolezza. Un modo per evitare il grippaggio dei filetti nella fase di montaggio (o smontaggio) e in tutto il periodo di esercizio. La parte superiore della zona filettata dovrà poi prevedere un sistema di tenuta per la pressione che si genera all’interno della camera di combustione durante la fase attiva. Generalmente si fa ricorso ad apposite rondelle che si deformano durante il montaggio e assicurano la tenuta. Non è detto che la tenuta debba però essere garantita da un apposito anello. Ci sono infatti casi in cui è sufficiente che la candela abbia una zona superiore conica in grado di assicurare la tenuta.
Le condizioni di esercizio in cui una candela si trova a operare portano a un’usura progressiva degli elettrodi. Mano a mano che gli elettrodi si consumano, la tensione richiesta affinché si formi l’arco tra gli elettrodi stessi cresce. Una regola di base ovvia è infatti quella secondo cui maggiore è la distanza tra i due elettrodi e maggiore è la tensione necessaria per creare l’arco.
Il grado termico
Il grado termico di una candela, noto probabilmente alla maggior parte degli addetti del settore, ha importanza fondamentale in relazione al comportamento della miscela aria/benzina. Questa grandezza rende ragione della capacità che la candela ha di sopportare il carico termico trasmesso dal motore. Una candela fredda andrà bene per motori spinti. Una calda andrà bene per propulsori che si caratterizzano per prestazioni più conservative. Se il grado termico è sbagliato possono accadere sostanzialmente due cose: una candela troppo fredda porta a mancate accensioni e si imbratta facilmente, una troppo calda subisce un deterioramento prematuro degli elettrodi.
Siccome le condizioni che determinano lo stato di esercizio di una candela all’interno di un motore sono molteplici (rapporto aria/combustibile, regime di rotazione, tipo di combustibile, geometria della camera di combustione, etc.) una stessa candela potrebbe raggiungere temperature troppo elevate se montata sulla testata di un determinato motore, o temperature troppo basse, se montata su un altro tipo di propulsore.
Per riconoscere qualitativamente una candela fredda da una calda basta una semplice operazione: osservare la conformazione e le dimensioni del naso dell’isolatore che si affaccia dalla parte degli elettrodi. In pratica un isolatore con superficie ampia tende ad assorbire molto calore e quindi a scaldarsi velocemente (candela calda con bassa capacità di tollerare elevati carichi termici). Viceversa se il naso dell’isolatore è molto piccolo lo sarà anche la superficie e di conseguenza la sua capacità di assorbire calore (candela fredda adatta per motori ad alte prestazioni).
Ancora qualche nota pratica
La sostituzione delle candele è ormai affidata solo ai professionisti del settore. Ci sono infatti auto che richiedono lo smontaggio di numerosi elementi prima di poter raggiungere il corpo della candela. Detto questo vi elenchiamo alcuni accorgimenti che normalmente un addetto al settore segue per portare a termine un lavoro a regola d’arte.
Non tutte le candele sono dotate del medesimo esagono per cui è necessario essere dotati di una serie di chiavi a bussola con le misure standard previste per questo genere di componenti. Una chiave a bussola di buona qualità solitamente prevede al suo interno un manicotto in gomma che dovrebbe diminuire la sollecitazione sul corpo esterno della candela durante la fase di stacco e riattacco.
Prima di rimuovere una candela sarebbe auspicabile pulire la zona esterna in prossimità del foro nella testa e questo per evitare che all’interno del motore cada sporcizia. Le candele oggi non vengono riutilizzate ma sostituite. In quei casi in cui però si volesse procedere a una pulizia della candela, e a un suo riutilizzo, è bene verificare la distanza tra gli elettrodi in modo da ripristinare il valore corretto avvicinando (molto spesso) o allontanando (molto raramente) l’elettrodo di massa.
Infine prima di installare la pipetta sarebbe bene inserire all’interno della stessa un grasso dielettrico per evitare la corrosione dei contatti e l’incollamento della parete interna della pipetta stessa su quella dell’isolatore.
Articolo di Roberto Balotti pubblicato su Notiziario Motoristico (marzo 2008)