Il panorama automobilistico italiano si prepara a un cambiamento epocale. Entro il 2028, secondo le previsioni del centro studi Quintegia, il 90% dei nuovi marchi auto che approderanno sul mercato nazionale sarà di origine cinese. Un’invasione silenziosa che sta rivoluzionando gli equilibri di un settore storicamente dominato da brand europei e statunitensi.
Fino a pochi anni fa, l’industria dell’auto cinese veniva osservata con sufficienza: veicoli economici, qualità incerta e poca innovazione. Oggi, invece, le case automobilistiche cinesi rappresentano il fronte più dinamico e competitivo del mercato globale. Hanno saputo cogliere le opportunità offerte dalla transizione elettrica, investendo massicciamente in tecnologia e rafforzando l’intera filiera produttiva.
Tra il 2021 e il 2024, in Italia hanno fatto il loro ingresso 18 nuovi marchi provenienti dalla Cina. Ma entro il 2027 saranno almeno 27 i costruttori attivi nel nostro Paese. La loro quota di mercato, seppur ancora contenuta (6%), mostra una crescita vertiginosa rispetto allo 0,4% del 2021: un aumento del +1.350%, impossibile da ignorare.
Marchi come BYD, MG, DR, Omoda, Jaecoo, Leapmotor e Lynk&Co stanno rapidamente guadagnando credibilità. Offrono modelli accessibili e ben equipaggiati, che attraggono soprattutto i giovani consumatori, meno legati ai brand storici. Un sondaggio recente rivela che il 44% degli italiani è disposto a considerare un’auto cinese per il prossimo acquisto.
Auto cinesi, obiettivo Europa
Dietro l’affermazione dei costruttori cinesi ci sono vantaggi strategici difficili da replicare in Europa. Il primo è il controllo sulle materie prime: la Cina detiene la maggioranza delle terre rare, elementi cruciali per batterie e motori elettrici. Il secondo è un modello industriale ultra-integrato, capace di ridurre i costi lungo tutta la filiera.
Questi elementi permettono ai marchi cinesi di proporre auto elettriche a prezzi competitivi. Nel primo trimestre del 2025, MG (Gruppo SAIC) ha raggiunto una quota del 3,5% sul mercato italiano, mentre BYD è arrivata allo 0,9%. In un contesto di inflazione e riduzione del potere d’acquisto, l’offerta asiatica diventa una scelta obbligata per molti automobilisti.
Il paradosso è che sono state proprio le normative ambientali europee, nate per incentivare la transizione verde, ad aprire la strada ai produttori cinesi. Mentre i costruttori occidentali lottano tra regolamenti sempre più severi e investimenti onerosi, le aziende asiatiche hanno trovato terreno fertile per espandersi rapidamente.
La rete distributiva italiana si sta adattando a questo nuovo scenario. Oggi oltre 800 punti vendita offrono vetture cinesi: un numero che supera di gran lunga le 350 concessionarie in Spagna, le 300 in Germania e le 400 nel Regno Unito. Inoltre, quasi la metà dei dealer italiani è pronta ad accogliere nuovi marchi asiatici nei propri saloni.
La crescita cinese nell’automotive europeo non è un fenomeno passeggero. Senza interventi mirati, come una strategia industriale condivisa, maggiori investimenti pubblici e un riequilibrio dei dazi doganali, l’Europa rischia di perdere il controllo di un settore chiave per la propria economia. I prossimi tre anni saranno decisivi: da una parte c’è l’innovazione, dall’altra la sopravvivenza dell’identità industriale europea.