Il rapporto tra Confindustria e Stellantis si è fatto sempre più teso, soprattutto a seguito delle decisioni strategiche prese dal colosso automobilistico che stanno sollevando preoccupazioni nel settore industriale italiano.
Le tensioni indicano la complessità di una trasformazione industriale che deve bilanciare la necessità di innovare con la salvaguardia dell’occupazione e della competitività locale. Alcune delle scelte aziendali del Gruppo Stellantis, nato dalla fusione tra FCA e PSA, fanno temere ripercussioni negative per il settore produttivo e occupazionale del Paese.
Le critiche di Confindustria si concentrano principalmente su due fronti: l’organizzazione delle attività produttive e il futuro occupazionale degli stabilimenti italiani.
La decisione di Stellantis di organizzare la produzione verso mercati esteri e di potenziare la filiera produttiva in aree geografiche diverse dall’Italia è stata vista come una minaccia alla centralità del settore manifatturiero italiano all’interno della multinazionale.
Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, ha infatti commentato:
“Ciò che mi dispiace è che invece di fare investimenti nel Paese vengono fatti investimenti in altri Paesi”.
Un punto caldo della disputa riguarda quindi la strategia di delocalizzazione, che ha portato Stellantis a ridimensionare alcune linee produttive nel nostro Paese.
Confindustria ha sottolineato come questo atteggiamento metta a rischio non solo i posti di lavoro, ma anche il sistema economico legato all’automotive, che ha sempre rappresentato un pilastro fondamentale dell’industria italiana.
Immediata la replica della holding: “Per produrre auto o veicoli commerciali servono gli ordini. E’ la domanda a creare il mercato e non viceversa”. Insomma la partita è decisamente aperta tra le parti, anche alla luce di un altro tema delicato, che è quello della transizione ecologica e delle scelte tecnologiche di Stellantis, in particolare per quanto riguarda la produzione di veicoli elettrici.
La multinazionale ha investito massicciamente nell’elettrificazione della propria gamma, una decisione che, se da un lato appare in linea con le politiche ambientali dell’Unione Europea, dall’altro suscita preoccupazioni sul futuro della manodopera e delle competenze locali.
Secondo Confindustria invece, la mancanza di una chiara strategia per coinvolgere gli stabilimenti italiani nella produzione delle nuove tecnologie rischia di far perdere competitività all’intero comparto.
Stellantis ha risposto a queste preoccupazioni affermando che la sua strategia è mirata ad assicurare sostenibilità e competitività a lungo termine. Secondo l’ultimo piano strategico varato dal gruppo, verranno investiti 50 miliardi di euro nei prossimi 10 anni. Inoltre, Stellantis ci ha tenuto a precisare di aver investito già 2 miliardi di euro all’anno in Italia negli ultimi anni. Infine, ha ribadito la centralità dell’Italia nei loro progetti, facendo riferimento ai 2 stabilimenti di produzione: Stla Medium a Melfi e Stla Large a Cassino, oltre al Battery Technology Centre di Torino, dove si trova anche il primo Circular Economy Hub.
Tuttavia, per Confindustria, questi obiettivi non sono sufficienti a garantire stabilità e crescita per l’occupazione in Italia. Orsini ha lanciato più in generale una stoccata all’elettrico: “Non lo si può imporre per normativa. Le tecnologie si cambiano perché sono accessibili a tutti”. Secondo il numero uno di Confindustria bisognerebbe frenare sugli EV e non spingerli a tutti i costi.
La partita si gioca quindi su più fronti: politico, economico e sociale. Da una parte, Stellantis cerca di affermarsi come leader globale nel settore della mobilità sostenibile; dall’altra, Confindustria preme affinché questa crescita avvenga senza compromettere il tessuto produttivo italiano. La speranza è che si possa giungere a un compromesso che permetta all’Italia di rimanere un punto di riferimento nell’automotive globale, contribuendo così alla crescita economica e allo sviluppo del settore.