Espansione prolungata per i motori a ciclo Miller.
Se i moderni propulsori a benzina sono diventati più efficienti il merito non è solo del downsizing: i motori a ciclo Miller hanno infatti un consumo intrinsecamente più basso rispetto a quelli a ciclo Otto.
Nei motori a ciclo Otto la corsa di espansione (dal punto morto superiore a quello inferiore, con le valvole chiuse) è lunga quanto quella di compressione perché determinata dal braccio di manovella dell’albero motore.
Il ciclo Miller è derivato da quello Atkinson, teorizzato da James Atkinson allo scopo di sfruttare meglio l’energia contenuta nei gas di scarico. In effetti i turbocompressori, che erogano potenze di diversi kW, vengono messi in rotazione dai gas di scarico che quindi hanno un carica energetica notevole, dovuta alla loro pressione e temperatura.
L’idea di Atkinson, che ha poi dato vita ai motori a ciclo Miller, è stata quella di avere una fase di espansione più lunga di quella di compressione in modo da raccogliere il più possibile l’energia dei gas di scarico. Questa intuizione si è concretizzata nel 1882 in un elaborato motore a pistoni contrapposti.
La successiva versione, a singolo pistone ma con un complicato imbiellaggio che rendeva la corsa di espansione più lunga di un fattore pari a 1,78 rispetto a quella di compressione, fu l’unica che ebbe un qualche successo commerciale ma le complicazioni meccaniche hanno poi portato a un progressivo oblio.
L’intuizione che ha poi portato ai motori a ciclo Miller è implementare una fase di compressione accorciata in modo che quella di espansione risulti comparativamente più “lunga”. Nei motori a ciclo Miller questo si ottiene con chiusura ritardata o anticipata (o entrambe le azioni) della valvola di aspirazione in modo che la fase di compressione sia più breve; quando le valvole si chiudono la compressione si instaura e poi si hanno le normali fasi di combustione ed espansione.
I motori a ciclo Miller sono usati da molti costruttori
La minor durata della fase abbassa il rapporto di compressione effettivo e quindi diminuisce la potenza e la coppia erogata, cosa che ha di fatto impedito ai motori a ciclo Miller una loro diffusa applicazione sulle automobili di serie. Le cose sono cambiate con l’ibridizzazione, specialmente grazie a Toyota che ha combinato i suoi motori endotermici a ciclo Atkinson Miller con un motore elettrico in grado di compensare le minori potenza e coppia di questi propulsori.
Si è così ottenuto un funzionamento fluido e una sostanziale riduzione dei consumi. Un’altra strategia per bilanciare la diminuzione delle prestazioni è l’uso della sovralimentazione, che aumenta l’energeticità della combustione compensando la compressione ridotta. Si è inoltre rilevato che l’accorciamento della corsa di compressione minimizza il battito in testa e le sempre nocive autoaccensioni.
Un esempio di automobile ibrida plug-in dotata di motore a ciclo Miller è la Volkswagen Passat Variant 2024, che si caratterizza per una capace batteria che promette 100 km di autonomia in modalità elettrica. Altri marchi usano motori con questa filosofia costruttiva sono: Honda, che usa la sua fasatura variabile i-VTEC per ritardare la chiusura di alcune valvole di aspirazione e Suzuki.
Anche alcune versioni del diffuso motore Firefly, progettato in FCA, funzionano secondo il ciclo Miller così come l’ultima versione del sistema ibrido E-Tech di Renault e diversi motori della famiglia Tce.
Anche Mazda aveva prodotto motori a ciclo Miller, come il KJ-ZEM V6 montato sulla berlina Millenia (Xedos 9 in Europa) della metà degli anni ‘90.
Le prestazioni e i consumi erano interessanti ma il successo commerciale non fu quello sperato.