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giovedì, 18 Aprile 2024
  • Perchè i costruttori irrompono nel business aftermarket?

    dealerCome mai i Costruttori vogliono entrare nel business aftermarket?

    In Italia la vocazione ad essere “piccoli” è sempre stato un affare per i “Grandi”. Può accadere lo stesso anche nell’insediamento territoriale delle “placche” ricambi della Casa-madre? Ciò che conserva e prolunga un “ecosistema” nel tempo è sostanzialmente l’equilibrio nell’interazione delle sue componenti e la capacità di difendersi da aggressioni esterne. Vale nella dimensione dell’esistenza biologica delle cose, vale anche e spesso in campo economico – industriale. Abbiamo in diversi tempi e con diversi articoli puntato l’attenzione sulla nuova questione tecnico-commerciale delle “Placche Logistiche” di distribuzione ricambi, con la nuova strategia di ingresso nel mercato aftermarket delle Case madri o di Organizzazioni ad esse facenti capo.

     

    La forza dei “piccoli” rischia di diventare la loro debolezza

    Ci siamo spinti persino a teorizzare che questa discreta “irruzione” su un territorio storicamente contrapposto tra distribuzione e commercializzazione dei dealers contro la distribuzione aftermarket indipendente, segna un potenziale rischio più per i primi (i dealers) che non per la distribuzione indipendente storica. E questo aprirebbe a considerazione ormai ripetute sin troppo, quelle per cui dei dealer italiani a differenza di altri dealer europei  affidano la quasi totalità del loro risultato di gestione alla vendita auto,  trascurando il business dei ricambi. Dunque la concorrenza delle “Placche” peserà in modo insostenibile più sui piccoli e sui meno organizzati, che poi sostanzialmente rimangono i più piccoli. Quindi, l’ingresso a regime delle placche e la forza organizzativa delle organizzazioni Casa madre ha già, presumibilmente, una vittima predestinata  la piccola distribuzione commerciale sia di componentistica che di auto.
    Alla quale sarà opposta una forza assoluta sia in campo logistico, come fin troppo detto, che in campo della finanza e del credito. E anche su questo punto continuiamo a battere perché ritengo che la “cultura del credito” in possesso di ricambisti e piccole strutture commerciali sia del tutto inadeguata (sia perché non supportata da tecniche aggiornate sia perché non è frutto di una progettualità predefinita) rispetto al rischio connesso di finire a gambe all’aria in caso di insolvenza diffusa. Eppure potrebbe configurarsi la condizione per la quale (pur di non perdere la potenziale clientela) un operatore commerciale arrivi a concedere troppo sia in termini di sconto sia in termini di credito. Come detto, occorrerà capire l’eventuale ruolo delle “captive” finanziarie di Casa Madre nel supporto commerciale nel settore aftermarket.  Non sottovalutiamo inoltre l’eventuale ruolo che potrebbero comunque avere i dealer in tema di conoscenza storica del territorio, di portafoglio clienti da sfruttare, di condivisione dunque della clientela fidelizzata: condizione questa difficile da trovare nella disponibilità dei piccoli vista la diffusa e scarsa attenzione alla customer satisfaction ed alla conservazione e vitalizzazione di lead e di contatti. Tutto materiale che di diritto potrebbe costituire il target privilegiato di campagne o di azioni di direct marketing che i Costruttori, come noto, sanno fare benissimo da tempo. E a fronte di azioni dedicate a target che i Costruttori avrebbero ben più forza per gestire, come potrebbero controbattere le organizzazioni più piccole e meno strutturate?

    L’italiano continua a spendere per la sua auto

    parco autoDicevamo del peccato originale del “Dealer medio” nazionale: la disattenzione verso la dimensione dell’autoriparazione, in un Paese dove con metodi diversi in ogni caso si spende sempre molto per la riparazione delle auto. E di certo questo aspetto non è passato in ombra nelle strategie dei Costruttori intenzionati ad entrare nel business aftermarket, nella considerazione che “drenare” e reintrodurre nel canale “ufficiale” parecchi automobilisti dediti al “fai da te” o rivolto a canali alternativi di autoriparazione significa reimmettere nelle casse un canale importante di cashflow. Questo riporta a considerare anche la questione “anzianità parco aziendale”. Ripetere da tempo che ancora diversi milioni di auto in circolazione sono al massimo “Euro 3”, ha portato anche i Costruttori al miraggio di poter avviare un ciclo virtuoso di sostituzione del parco vecchio con nuove immatricolazioni. Ma abbiamo visto anche che l’obiettivo ottimale non si è mai davvero raggiunto. Forse oggi sono gli stessi Costruttori a riconsiderare quel vecchio parco non più solo come unità di vetture da abbattere, ma come fonte alternativa di redditività grazie alle spese di manutenzione e di trasformazione. Perché se è vero che il parco auto circolante italiano è tra i più cospicui del mondo (densità per numero di abitanti) e tra i più longevi del mondo (praticamente oltre una auto su due in circolazione ha più di dieci anni), proprio per questo potrebbe garantire in fatturato e in servizi a valore aggiunto (quanto a vendita ricambi e manutenzione meccanica): cifre importanti a fine anno. Ed anche dal fronte dell’impiantistica e (forse più avanti) e della trasformazione elettrica di una vettura tramite i “kit Retrofit”, sembra arrivare più di una attenzione dalle Case Madri. Come non sarà sfuggito ai Costruttori, nella pianificazione delle nuove strutture operative territoriali e delle relative strategie, che nel periodo socio-economico corrente, con le incertezze del futuro, le dinamiche ecologiste e la guerra al Diesel, i Kit Retrofit, gli Impianti a Gas, le componenti e le strutture di ricarica per l’elettro/ibrido, l’ingresso dei sistemi Adas anche per l’aftermarket, etc…. beh, insomma: in tutto questo caos perfetto, seguire le spinte del mercato, componendo simmetricamente l’assortimento di magazzino con tutto ciò che ne consegue, è davvero al momento una operazione fuori della portata di tanti. 

    Riccardo Bellumori

     

     

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