Un tempo c’era la dinamo e oggi si usa l’alternatore. Ancora più indietro nel tempo, ovvero nel periodo d’esordio dell’automobile, l’avviamento era affidato alla leggendaria manovella. Oggi sembra tutto preistoria visto che il motorino di avviamento è in grado di mettere in rotazione anche il motore più grosso a un semplice giro di chiave.
Malgrado lo sviluppo enorme che questi componenti hanno avuto, e malgrado la loro ormai affermata affidabilità, esistono ancora defaillance a carico di entrambi i componenti. Per capire come gestirle vi forniamo un quadro tecnico complessivo in grado di descrivere i più tradizionali errori o le più comuni disattenzioni che si commettono sull’argomento.
L’alternatore
Il passaggio dalla dinamo all’alternatore, nel settore della tecnica automobilistica, è stata una tappa quasi obbligata. Le crescenti potenze elettriche richieste dai vari utilizzatori, aumentati di complessità e di numero, hanno di fatto spinto l’evoluzione dei generatori per auto verso l’alternatore, un sistema a corrente trifase capace di produrre potenze anche di quasi 2 kW. Valore sicuramente superiore ai miseri, perché oggi è così che possiamo definirli, 200 W prodotti dalle dinamo di una volta.
Il problema della potenza crescente ha però avuto come conseguenza un incremento altrettanto enorme dei valori di corrente da gestire, con picchi anche di 120 A. Fatto che porta a un innalzamento pericoloso delle temperature di esercizio del complesso. Questo aspetto ha di fatto reso necessario intervenire sulla struttura degli alternatori provvedendo a realizzare ventole di raffreddamento con l’obiettivo di asportare quanto più calore possibile.
Gli alternatori inoltre presentano delle caratteristiche che li rendono particolarmente adatti all’uso in ambito automotive. Assicurano una grande capacità di carico in corrispondenza del regime di minimo del motore, la corrente può andare solo dall’alternatore verso la batteria, e quindi è scongiurata la possibilità che la batteria si scarichi sull’alternatore stesso.
L’alternatore moderno, che genera corrente grazie alla rotazione di un conduttore elettrico all’interno di un campo magnetico, non presenta, di fatto, problemi di affidabilità. Gli operatori del settore però devono porre attenzione quando intervengono sui sottosistemi che, in qualche modo, possono coinvolgere gli alternatori. Ad esempio la cinghia che lo collega all’albero motore deve sempre possedere la tensione giusta, pena un’usura precoce dei cuscinetti dell’alternatore e della cinghia stessa. È bene anche assicurarsi che sul gruppo alternatore non cada del lubrificante, magari derivante da perdite del motore o ancora da un cambio olio poco accorto.
L’alternatore, inoltre, è un sistema che produce corrente alternata mentre i vari utilizzatori montati a bordo di un’auto sfruttano la corrente continua, generalmente a una tensione di 12 volt. Per questo motivo sono necessari i cosiddetti raddrizzatori a diodi. La presenza di questi ultimi è fondamentale anche per un altro motivo: evitare la scarica della batteria sul circuito dell’alternatore, un aspetto già precedentemente anticipato. Dal punto di vista degli utilizzatori, e degli addetti del settore, vale la pena sottolineare un problema spesso sottovalutato ma causa di problemi. Quando la batteria di un’auto è scarica è prassi abbastanza comune collegare la batteria stessa a quella di un’altra vettura tramite opportuni cavi. L’inversione della polarità dei cavi per disattenzione può provocare la rottura dei diodi raddrizzatori e ciò perché in generale gli alternatori non sono protetti rispetto a questo tipo di evento.
Veniamo quindi al problema dei giri motori e della carica conseguente. Come noto l’alternatore è collegato all’albero motore mediante una cinghia avvolta su pulegge che stabiliscono un determinato rapporto di trasmissione tra motore e alternatore. Partendo dalla premessa che la potenza che un alternatore è in grado di sviluppare è funzione del numero di giri, e cresce con esso. In generale quindi si sceglie un rapporto di trasmissione tale da consentire un numero di giri elevato della puleggia dell’alternatore per ogni giro dell’albero motore. Questa scelta che sembra ovvia, e infatti lo è, implica però altri aspetti che il progettista deve tenere in debito conto: aumento delle forze scambiate dalla cinghia, incremento di quelle centrifughe per i corpi rotanti dell’alternatore e rumorosità del sistema. Se il terzo aspetto è più legato al comfort di marcia, i primi due sono fondamentali per l’affidabilità del sistema. Ecco perché anche la semplice operazione di sostituzione della cinghia richiede attenzione. La sua tensione deve essere perfettamente quella indicata in sede di progetto, pena un consumo abnorme e una sollecitazione delle pulegge, e dell’alternatore, al di fuori di quelle previste.
Motorino d’avviamento
I motorini di avviamento sono motori a corrente continua. La struttura tipo di un motorino di avviamento è costituita da un motore elettrico, un elettromagnete e un sistema che prende il nome di pignone a ruota libera. Quest’ultimo è quello che si impegna con la dentatura esterna del volano per mettere in rotazione il motore. La definizione di pignone a ruota libera si riferisce semplicemente al fatto per cui, una volta che il motore si avvia, il pignone del motorino di avviamento viene fatto girare folle per evitare rotture. Quando il propulsore si mette in moto, infatti, sarà il volano a portare in rotazione il pignone del motorino, esattamente il contrario di ciò che accade nei primi istanti della fase di avviamento stessa.
I motorini di avviamento vengono costruiti in funzione delle caratteristiche del veicolo e del suo propulsore. Fattori importanti sono, ad esempio, il momento torcente dell’albero a gomiti e il numero di giri minimo per l’avviamento. Questi parametri dipendono da tantissime grandezze tra cui la cilindrata del motore, il rapporto geometrico di compressione, l’attrito delle parti in moto rotatorio e alterno, dalla temperatura dell’ambiente esterno e dal lubrificante utilizzato. È evidente, tutti lo abbiamo constatato, che al diminuire della temperatura è necessaria una maggior potenza all’avviamento a causa delle maggiori potenze perse. Sempre a temperature basse è anche necessario raggiungere un numero di giri superiore per assicurare l’avviamento del motore. Le potenze dei motorini di avviamento normalmente utilizzati nel settore automobilistico vanno dai 2 kW ai 4 kW. Come per gli alternatori, e per tutti i componenti meccanici presenti all’interno del vano motore, gli obiettivi da raggiungere rimangono pressappoco i medesimi: aumento dell’affidabilità, possibilità di gestire potenze superiori a parità di peso e, più in generale, ridurre i tempi di manutenzione allungando anche gli intervalli tra un intervento e l’altro. Per quanto riguarda i motorini di avviamento, in particolare, bisogna dire che i progressi fatti sono moltissimi tanto che difficilmente sulle vetture moderne è richiesto un intervento di manutenzione a carico di questo componente durante tutta la vita della vettura. La necessità però di una maggior compattezza, così come quella di ottemperare alle rigide normative antinquinamento, ha portato verso l’ultima frontiera nel campo degli alternatori e dei motorini di avviamento. Stiamo naturalmente parlando degli starter con alternatori intergrati.
Un prodotto unico
Si tratta dell’ultimo ritrovato in termini di compattezza e affidabilità. Questi sistemi integrano in un unico elemento le funzioni di motorino di avviamento e di generatore di corrente. Un esempio tra tutti è rappresentato dalla Smart Fortwo Micro Hybrid, presentata in questi ultimi tempi, che monta un sistema di questo tipo progettato congiuntamente da Valeo e Gates Corporation. In questo caso si tratta di un sistema compatto che integra, al suo interno, la duplice funzione di motorino di avviamento e alternatore. Il collegamento al motore avviene tramite una cinghia, opportunamente calcolata, in grado di sopportare le notevoli variazioni di tensione durante l’esercizio. Proprio a tal proposito facciamo notare come la sostituzione di questa cinghia richieda perizia ed estrema attenzione perché dalla sua tensione statica dipende tutto il comportamento, e di conseguenza l’affidabilità, dell’intero sistema.
Questa soluzione fu lanciata nel 2004 con la Citroen C3 1.4i 16V e successivamente con la C2. Oggigiorno la Smart Micro Hybrid, di cui abbiamo appena parlato, è l’ennesima vettura a beneficiare del sistema StARS, questo il suo nome, che entro il 2009 sarà montato su numerose altre vetture.
Concludiamo ricordando che questo sistema può essere montato sia su motori a benzina (per cilindrate fino a 2 litri) che su unità a gasolio (per cilindrate fino a 1,6 litri). StARS è una macchina sincrona raffreddata ad aria, che usa corrente trifase che a sua volta viene trasformata in corrente continua a 12 volt per mezzo di un trasformatore separato.
Articolo di Roberto Balotti pubblicato su Notiziario Motoristico (marzo 2008)