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martedì, 19 Marzo 2024
  • Lo Stato deve rimborsare l’IVA alle imprese – La sentenza della Corte di Giustiz

    Si tratta della causa C-228/05, instaurata su richiesta di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento, nel procedimento tra Stradasfalti Srl e Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento.

    La Corte ha così statuito, in sintesi:

    “La sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, non autorizza uno Stato membro ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto … ove siano privi di indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico”.

    “Qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente alla sesta direttiva 77/388, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto enunciato da tale direttiva. Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura derogatoria deve poter ricalcolare il suo debito d’imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni della sesta direttiva 77/388 nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta”.

    Di seguito, il testo integrale della decisione della Corte di Giustizia.

    . . . . .

    Corte di Giustizia delle Comunità europee, III Sezione

    sentenza del 14 settembre 2006

    (presidente Rosas, estensore Puissochet)

    Procedimento C-228/05 (avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento, con ordinanza 21 marzo 2005, nel procedimento tra Stradasfalti Srl e Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento).

    (…)

    1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).

    2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la società a responsabilità limitata Stradasfalti Srl (in prosieguo: la «Stradasfalti») e l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento, in merito al rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») che la Stradasfalti sostiene di aver indebitamente versato negli anni 2000-2004 per l’acquisto, l’uso e la manutenzione di veicoli da turismo che non formano oggetto dell’attività propria di tale società.

    Contesto normativo

    La normativa comunitaria

    3 L’art. 17 della sesta direttiva, intitolato «Origine e portata del diritto a deduzione», dispone, al suo n. 2, lett. a), che «[n]ella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore (…) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo».

    4 L’art. 17, n. 6, della sesta direttiva prevede quanto segue:

    «Al più tardi entro un termine di quattro anni a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente direttiva, il Consiglio, con decisione all’unanimità adottata su proposta della Commissione, stabilisce le spese che non danno diritto a deduzione dell’imposta sul valore aggiunto. Saranno comunque escluse dal diritto a deduzione le spese non aventi un carattere strettamente professionale, quali le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza.

    Fino all’entrata in vigore delle norme di cui sopra, gli Stati membri possono mantenere tutte le esclusioni previste dalla loro legislazione nazionale al momento dell’entrata in vigore della presente direttiva».

    5 Ai sensi dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva:

    «Fatta salva la consultazione prevista dall’articolo 29, ogni Stato membro può, per motivi congiunturali, escludere totalmente o in parte dal regime di deduzioni la totalità o parte dei beni di investimento o altri beni. Per mantenere condizioni di concorrenza identiche, gli Stati membri possono, anziché rifiutare la deduzione, tassare i beni fabbricati dallo stesso soggetto passivo o acquistati dal medesimo all’interno del paese, oppure importati, in modo che questa imposizione non superi l’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto che graverebbe sull’acquisto di beni analoghi».

    6 L’art. 29, nn. 1 e 2, della sesta direttiva dispone quanto segue:

    «1. È istituito un comitato consultivo dell’imposta sul valore aggiunto [in prosieguo: il «Comitato IVA»], in appresso denominato “comitato”.

    2. Il comitato si compone di rappresentanti degli Stati membri e della Commissione.

    Il comitato è presieduto da un rappresentante della Commissione.

    Il segretariato del comitato è assicurato dai servizi della Commissione».

    Normativa nazionale

    7 La normativa nazionale rilevante figura all’art. 19 bis 1, intitolato «Esclusione o riduzione della detrazione per alcuni beni e servizi», del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Supplemento ordinario alla GURI n. 292 dell’11 novembre 1972; in prosieguo: il «DPR n. 633/72»), nella sua formulazione risultante dall’art. 3 del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 313 (Supplemento ordinario alla GURI n. 219 del 27 dicembre 1997).

    8 Il detto art. 19 bis 1 dispone quanto segue:

    «In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 19:

    (…)

    c) l’imposta relativa all’acquisto o alla importazione di ciclomotori, di motocicli e di autovetture ed autoveicoli indicati nell’articolo 54, lettere a) e c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, non compresi nell’allegata tabella B e non adibiti ad uso pubblico, che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa, e dei relativi componenti e ricambi, nonché alle prestazioni di servizi di cui al terzo comma dell’articolo 16 ed a quelle di impiego, custodia, manutenzione e riparazione relative ai beni stessi, non è ammessa in detrazione salvo che per gli agenti o rappresentanti di commercio;

    d) l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad autovetture e veicoli, aeromobili, navi e imbarcazioni da diporto è ammessa in detrazione se è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto, all’importazione o all’acquisizione mediante contratti di locazione finanziaria, di noleggio e simili di dette autovetture, veicoli, aeromobili e natanti».

    9 L’efficacia di tale disposizione è stata limitata al 31 dicembre 2000 dall’art. 7, terzo comma, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 27 dicembre 1999).

    10 La misura è stata poi prorogata e il suo campo di applicazione modificato con l’art. 30, quarto comma, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 2000), a termini del quale:

    «L’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto afferente le operazioni aventi per oggetto ciclomotori, motocicli, autovetture e autoveicoli di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 19-bis 1 del [DPR n. 633/72], prorogata da ultimo al 31 dicembre 2000 dall’articolo 7, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, è ulteriormente prorogata al 31 dicembre 2001; tuttavia limitatamente all’acquisto, all’importazione e all’acquisizione mediante contratti di locazione finanziaria, noleggio e simili di detti veicoli la indetraibilità è ridotta al 90 per cento del relativo ammontare ed al 50 per cento nel caso di veicoli con propulsori non a combustione interna».

    11 Tale testo è rimasto in vigore per effetto di ulteriori provvedimenti annuali di proroga. La scadenza è stata infatti modificata dall’art. 9, quarto comma, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, poi dall’art. 2, tredicesimo comma, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, dall’art. 2, diciassettesimo comma, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e, infine, dall’art. 1, comma 503, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ne ha prorogato gli effetti fino al 31 dicembre 2005.

    La controversia principale e le questioni pregiudiziali

    12 La Stradasfalti è una società a responsabilità limitata di diritto italiano, con sede legale in provincia di Trento, che opera nel settore delle costruzioni stradali.

    13 Essa dispone di veicoli aziendali che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa, e per il cui acquisto, uso, manutenzione e rifornimento di carburante non ha potuto beneficiare della detraibilità dell’IVA ad essi afferente, secondo quanto previsto dalla normativa italiana.

    14 Il 7 luglio 2004 la Stradasfalti, ritenendo tale normativa incompatibile con le disposizioni della sesta direttiva relative alla detraibilità dell’IVA, chiedeva all’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento la restituzione di circa EUR 31 340, a titolo di rimborso dell’IVA indebitamente pagata dal 2000 al 2004 per l’acquisto, l’uso, la manutenzione ed il rifornimento di carburante dei propri veicoli aziendali.

    15 Con varie decisioni adottate il 15 luglio 2004, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento respingeva tale istanza.

    16 Il 22 novembre 2004, la Stradasfalti proponeva un ricorso alla Commissione tributaria di primo grado di Trento per ottenere l’annullamento di tali decisioni ed il rimborso dell’IVA per i periodi considerati.

    17 In tale contesto, la Commissione tributaria di primo grado di Trento ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1) Se l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva (…) in relazione al n. 2 dello stesso articolo (…) vada interpretato nel senso che:

    a) il detto articolo si oppone a considerare “consultazione del comitato IVA” di cui all’art. 29 della citata direttiva, la semplice notifica da parte di uno Stato membro dell’adozione di una norma di legge nazionale, come quella di cui all’attuale art. 19 bis 1 D.P.R. n. 633/72, lett. c) e d) e successive proroghe, che limita il diritto di detrazione dall’IVA relativa all’impiego e manutenzione dei beni di cui al paragrafo 2 dell’art. 17, sulla base di una semplice presa d’atto da parte del comitato IVA;

    b) lo stesso si oppone egualmente a considerare come misura ricadente nel suo campo di applicazione una qualsivoglia limitazione del diritto a fruire della detrazione IVA connessa all’acquisto, impiego e manutenzione dei beni sub a) introdotta prima della consultazione del comitato IVA e mantenuta in vigore attraverso numerose proroghe legislative, ripetutesi a catena e senza soluzione di continuità da oltre venticinque anni;

    c) in caso di risposta affermativa alla questione sub 1 b) si chiede che la Corte indichi i criteri sulla scorta dei quali si possa determinare l’eventuale durata massima delle proroghe, in relazione ai motivi congiunturali presi in considerazione dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva; ovvero che precisi se l’inosservanza della temporaneità delle deroghe (ripetute nel tempo) attribuisca al contribuente il diritto a fruire della detrazione;

    2) qualora i requisiti e le condizioni della procedura di cui all’art. 17, n. 7, sopra richiamato, non risultassero rispettati, dica la Corte se l’art. 17, n. 2, della citata direttiva vada interpretato nel senso che esso si oppone a che una norma di legge nazionale od una prassi amministrativa adottata da uno Stato membro dopo l’entrata in vigore della sesta direttiva (1º gennaio 1979 per l’Italia) possa limitare la detrazione dell’IVA connessa all’acquisto, impiego e manutenzione di determinati autoveicoli, in via oggettiva e senza limitazioni di tempo».

    Sulle questioni pregiudiziali

    Sulla prima questione, sub a)

    18 Con la prima questione, sub a), il giudice del rinvio chiede se l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva vada interpretato nel senso che si oppone a che si consideri «consultazione del comitato IVA» di cui all’art. 29 della citata direttiva, la notifica da parte di uno Stato membro dell’adozione di una norma di legge nazionale che limita il diritto di detrazione dell’IVA afferente all’impiego e alla manutenzione dei beni di cui all’art. 17, n. 2, laddove il comitato IVA si è limitato a prendere atto di tale notifica.

    Osservazioni presentate alla Corte

    19 La Commissione sostiene che la consultazione del comitato IVA prevista dall’art. 29 della sesta direttiva costituisce un’imprescindibile condizione procedurale per l’esercizio delle deroghe congiunturali relative all’IVA. La consultazione di tale comitato deve permettere ai rappresentanti degli Stati membri e della Commissione di esaminare congiuntamente le misure nazionali che derogano al principio della detraibilità dell’IVA. Al riguardo, non basta a configurare una consultazione la mera notifica al comitato IVA della normativa nazionale adottata o in via di adozione, né una presa d’atto, da parte di tale comitato, della normativa nazionale ad esso notificata.

    20 Una conferma di tale interpretazione dell’art. 29 della sesta direttiva sarebbe offerta dalle varie versioni linguistiche della formula usata dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. Inoltre, nella sentenza 8 gennaio 2002, causa C-409/99, Metropol e Stadler (Racc. pag. I-81), la Corte ha già statuito che la consultazione del comitato IVA era un presupposto per l’adozione di qualsiasi misura basata sul detto art. 17, n. 7.

    21 Per quanto riguarda la misura in questione nella controversia principale, il governo italiano ha consultato il comitato IVA nel 1980 e ha illustrato, attraverso il proprio rappresentante, il contenuto e la portata della misura nella riunione del comitato tenutasi in quell’anno. Esso ha seguito la stessa procedura in occasione delle successive proroghe della misura, consultando il comitato nel 1990, nel 1995, nel 1996, nel 1999 e nel 2000.

    22 La Commissione riconosce che la consultazione del comitato IVA ha avuto luogo dopo l’entrata in vigore della misura derogatoria e che ci si può chiedere se l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva imponga questa consultazione prima di tale entrata in vigore. Tuttavia, la procedura seguita dalle autorità italiane nel caso di specie sembra rispettosa delle prerogative del comitato IVA e conforme alla prassi seguita dagli altri Stati membri. La Commissione rimette quindi la decisione su tale questione alla saggezza della Corte.

    23 Il governo italiano, da parte sua, sostiene che la procedura seguita nel caso di specie non ha violato l’obbligo di consultazione del comitato IVA. Infatti, questo è stato investito di un’espressa domanda del governo italiano, sulla base della quale i servizi della Commissione hanno potuto elaborare un documento di lavoro, prima che il fascicolo fosse sottoposto a tale comitato. Quella che il giudice del rinvio chiama «una semplice presa d’atto» è in realtà la decisione conclusiva della procedura di consultazione prevista dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, adottata dal comitato IVA.

    24 In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui la procedura non fosse stata seguita alla lettera, il governo italiano ritiene che non vi sia stata alcuna violazione dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva.

    25 La Stradasfalti sostiene, innanzi tutto, che l’art. 19 bis 1, lett. c) e d), del DPR n. 633/72, modificato, è incompatibile con le disposizioni della sesta direttiva in quanto l’indetraibilità da esso introdotta non rientra in alcuna delle categorie di deroghe lecite previste da tale direttiva. La misura in questione violerebbe le disposizioni dell’art. 17, n. 7, della medesima direttiva, per il fatto che il comitato IVA non è stato previamente consultato dal governo italiano, che gli unici motivi che potrebbero giustificare la deroga al diritto di detrazione dell’IVA, ossia i motivi congiunturali, non sono mai sussistiti e che la misura di cui trattasi, lungi dall’essere temporanea, si applica in maniera strutturale da più di venticinque anni.

    26 Relativamente alla prima questione, sub a), la Stradasfalti sostiene che la normativa comunitaria prescrive una concertazione effettiva nell’ambito del comitato IVA, in quanto unico mezzo che consente di controllare come gli Stati membri si avvalgono della possibilità di deroga offerta dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. Tale disposizione osta quindi all’introduzione di una deroga al diritto di detrazione dell’IVA previa mera notifica di una disposizione legislativa nazionale di uno Stato membro o previa semplice notifica dell’intenzione dello Stato membro di adottare tale disposizione, seguita da semplice presa d’atto da parte del comitato IVA.

    Giudizio della Corte

    27 L’art. 17, n. 7, della sesta direttiva prevede una delle procedure di autorizzazione di misure derogatorie contemplate dalla detta direttiva, accordando agli Stati membri la facoltà di escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni «fatta salva la consultazione prevista dall’articolo 29».

    28 Tale consultazione permette alla Commissione e agli altri Stati membri di controllare l’uso da parte di uno Stato membro della possibilità di derogare al regime generale delle detrazioni dell’IVA, verificando, in particolare, se la misura nazionale di cui trattasi soddisfi la condizione di essere stata adottata per motivi congiunturali.

    29 L’art. 17, n. 7, della sesta direttiva prevede così un obbligo procedurale che gli Stati membri devono rispettare per potersi avvalere della norma derogatoria da esso stabilita. La consultazione del comitato IVA risulta essere un presupposto dell’adozione di qualsiasi misura basata su detta disposizione (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punti 61-63).

    30 L’obbligo di consultare il comitato IVA sarebbe privo di senso qualora gli Stati membri si limitassero a notificare al medesimo la misura nazionale derogatoria che intendono adottare senza corredare tale notifica della minima spiegazione sulla natura e sulla portata della misura. Il comitato IVA deve essere in grado di deliberare validamente sulla misura ad esso sottoposta. L’obbligo procedurale previsto all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva presuppone quindi che gli Stati membri informino tale comitato del fatto che intendono adottare una misura derogatoria e che gli forniscano informazioni sufficienti per consentirgli di esaminare tale misura con cognizione di causa.

    31 Per contro, l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva non prevede alcun obbligo quanto al risultato della consultazione del comitato IVA, e in particolare non impone a tale comitato di pronunciarsi favorevolmente o sfavorevolmente sulla misura nazionale derogatoria. Nulla impedisce quindi al comitato IVA di limitarsi a prendere atto della misura nazionale derogatoria che gli viene comunicata.

    32 Occorre dunque risolvere la prima questione, sub a), nel senso che l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva impone che gli Stati membri, per rispettare l’obbligo procedurale di consultazione di cui all’art. 29 della medesima direttiva, informino il comitato IVA del fatto che intendono adottare una misura nazionale che deroga al regime generale delle detrazioni dell’IVA e che forniscano a tale comitato informazioni sufficienti per consentirgli di esaminare la misura con cognizione di causa.

    Sulla prima questione, sub b) e c), prima parte

    33 Con la prima questione, sub b) e c), prima parte, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che esso autorizza uno Stato membro ad escludere taluni beni indicati all’art. 17, n. 2, della medesima direttiva, dal regime delle detrazioni dell’IVA:

    – senza la previa consultazione del comitato IVA e

    – senza limitazioni temporali.

    Osservazioni presentate alla Corte

    34 La Commissione ricorda che le disposizioni che prevedono deroghe al principio del diritto alla detrazione devono essere interpretate restrittivamente (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 59). La Corte ha già dichiarato che l’applicazione dei provvedimenti previsti all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, il quale permette di introdurre, per «motivi congiunturali», eccezioni alla regola della detraibilità, dev’essere limitata nel tempo e che, per definizione, tali provvedimenti non possono essere di natura strutturale (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 67).

    35 A tale proposito, la misura in questione nella causa principale è stata introdotta nella legislazione italiana nel 1979 come norma permanente. Solo a partire dal 1980 è stato fissato un limite temporale alla sua efficacia, limite da allora peraltro sistematicamente prorogato. In realtà, la misura sembra essere stata adottata al fine di prevenire le frodi e l’evasione fiscale, obiettivi questi riconducibili alla procedura e alle condizioni particolari previste dall’art. 27 della sesta direttiva.

    36 Del resto, sin dal 1980, il comitato IVA ha costantemente segnalato al governo italiano come la deroga in questione non potesse giustificarsi sulla base dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. L’atteggiamento più conciliante adottato da tale comitato nelle sue riunioni del 1999 e del 2000 si spiega alla luce dell’impegno, assunto e non mantenuto dalle autorità italiane, di riesaminare la misura a partire dal 1º gennaio 2001, e sulla base delle prospettive allora aperte dalla proposta della Commissione di modificare la sesta direttiva per quanto concerne il regime del diritto alla detrazione dell’IVA.

    37 Ciò premesso, la Commissione ritiene la deroga in questione nella causa principale incompatibile con le disposizioni dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva.

    38 Il governo italiano sostiene che la prima questione, sub b), non è pertinente ed è quindi irricevibile.

    39 Infatti, la controversia di cui alla causa principale riguarda solo l’IVA versata nel corso degli anni 2000-2004. Orbene, nel 1999 e nel 2000 le richieste di consultazione del comitato hanno preceduto l’adozione del provvedimento nazionale di proroga. In tale contesto, la questione sottoposta alla Corte va al di là della normativa applicabile alla controversia principale ed è pertanto irricevibile (v., da ultimo, sentenza 30 giugno 2005, causa C-165/03, Mathias Längst, Racc. pag. I-5637). Ad ogni modo, la Corte avrebbe dichiarato che l’art. 27 della sesta direttiva non esclude che la decisione del Consiglio di autorizzare uno Stato membro a introdurre misure particolari in deroga alla detta direttiva intervenga a posteriori (v. sentenza 29 aprile 2004, causa C-17/01, Sudholz, Racc. pag. I-4243, punto 23). Lo stesso dovrebbe valere per la consultazione del comitato IVA prevista all’art. 17, n. 7, della medesima direttiva.

    40 Per quanto riguarda la prima questione, sub c), prima parte, essa sarebbe puramente ipotetica e quindi parimenti irricevibile.

    41 Secondo la Stradasfalti, occorre risolvere la prima questione, sub b), nel senso che l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva osta all’introduzione di una deroga al diritto alla detraibilità dell’IVA prima della consultazione del comitato IVA, dato che la normativa comunitaria richiede espressamente che tale comitato sia consultato in via preventiva.

    42 Inoltre, l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva impone che la deroga conservi un carattere temporaneo, posto che, come statuito dalla Corte, essa deve rispondere a motivi congiunturali. Tale articolo osta quindi al mantenimento della deroga in questione da oltre venticinque anni, sulla base di proroghe successive.

    43 Per quanto riguarda la prima questione, sub c), la Stradasfalti fa valere che, nella citata sentenza Metropol e Stadler, la Corte ha già dichiarato che l’art. 17, n. 7, autorizza uno Stato membro a discostarsi dal regime comunitario della detrazione dell’IVA solo per una «durata limitata». Del resto, l’avvocato generale Geelhoed, nelle conclusioni in tale causa, ha definito la politica congiunturale come diretta ad influenzare «a breve termine» e su «un periodo di uno-due anni» i dati macroeconomici del paese. Una deroga mantenuta per più di venticinque anni manifestamente viola l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva.

    Giudizio della Corte

    – Sulla ricevibilità delle questioni

    44 Il procedimento ex art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto comunitario necessari per risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti (v., segnatamente, sentenza 5 febbraio 2004, causa C-380/01, Schneider, Racc. pag. I-1389, punto 20).

    45 Nell’ambito di tale cooperazione, spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una decisione pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza Schneider, cit., punto 21).

    46 Tuttavia, la Corte ha parimenti affermato che, in ipotesi eccezionali, le spetta esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza. Il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza Schneider, cit., punto 22).

    47 Infatti, lo spirito di collaborazione che deve presiedere allo svolgimento del procedimento pregiudiziale implica che il giudice nazionale, dal canto suo, tenga presente la funzione di cui la Corte è investita, che è quella di contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche (sentenza Schneider, cit., punto 23).

    48 Nella fattispecie, dalle osservazioni presentate alla Corte emerge che, sebbene la causa principale riguardi solo l’IVA versata nel corso degli anni 2000-2004, anni per i quali le richieste di consultazione del comitato IVA, secondo il governo italiano, hanno preceduto l’adozione del provvedimento nazionale di proroga, quest’ultimo è in realtà entrato in vigore prima di tale periodo e viene sistematicamente prorogato da molti anni. Non appare quindi che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non abbia manifestamente alcuna relazione con l’oggetto della controversia o che sollevi un problema di natura ipotetica.

    49 Di conseguenza, va constatato che la prima questione, sub b) e c), prima parte, è ricevibile.

    – Nel merito

    50 Per quanto riguarda la prima questione, sub b), con cui si chiede se l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva autorizzi uno Stato membro a escludere taluni beni dal regime di detrazione dell’IVA senza previa consultazione del comitato IVA, la Corte ha già dichiarato, come è stato osservato sopra al punto 29, che la consultazione di tale comitato è un presupposto dell’adozione di qualsiasi misura basata su detta disposizione (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punti 61-63).

    51 Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, la risposta a tale questione non può essere dedotta dalla soluzione elaborata dalla Corte nella citata sentenza Sudholz. Con tale sentenza, la Corte ha dichiarato segnatamente che l’art. 27 della sesta direttiva non imponeva al Consiglio di dare la sua autorizzazione a misure particolari derogatorie prese dagli Stati membri, prima dell’adozione di tali misure. Tuttavia, la procedura di consultazione prevista all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, in questione nella fattispecie, non ha il medesimo oggetto della procedura di autorizzazione prevista all’art. 27 della stessa direttiva. Non è dunque fondata la tesi del governo italiano secondo cui dalla sentenza Sudholz, citata, risulterebbe che la soluzione già fornita dalla Corte nella citata sentenza Metropol e Stadler andrebbe esclusa nella fattispecie.

    52 Quanto alla prima questione, sub c), prima parte, con cui si chiede se l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva autorizzi uno Stato membro ad escludere taluni beni dal regime di detrazione dell’IVA senza limitazioni temporali, va ricordato che tale articolo autorizza gli Stati membri a escludere taluni beni dal regime delle detrazioni «per motivi congiunturali».

    53 Tale disposizione autorizza dunque uno Stato membro ad adottare misure temporanee destinate ad ovviare alle conseguenze di una situazione congiunturale in cui si trova la sua economia in un determinato momento. Pertanto, l’applicazione delle misure a cui si riferisce tale disposizione deve essere limitata nel tempo e, per definizione, le medesime non possono essere di natura strutturale.

    54 Ne consegue che l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva non autorizza uno Stato membro ad adottare provvedimenti che escludano beni dal regime delle detrazioni dell’IVA ove siano privi di indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 68).

    55 Pertanto, la prima questione pregiudiziale, sub b) e c), prima parte, va risolta dichiarando che l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva dev’essere interpretato nel senso che esso non autorizza uno Stato membro ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni dell’IVA senza previa consultazione del comitato IVA. La detta disposizione non autorizza nemmeno uno Stato membro ad adottare provvedimenti che escludano alcuni beni dal regime delle detrazioni di tale imposta ove siano privi di indicazioni quanto al loro limite temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico.

    Sulla prima questione, sub c), seconda parte, e sulla seconda questione

    56 Con tali questioni, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se le autorità tributarie nazionali possano opporre ad un soggetto passivo una disposizione derogatoria al principio del diritto alla detrazione dell’IVA che non sia stata introdotta conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva.

    Osservazioni presentate alla Corte

    57 La Commissione sostiene che, secondo una costante giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, Racc. pag. I-1883, punti 16-18), il diritto a detrazione costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, attribuisce al contribuente un diritto che può essere soggetto alle sole limitazioni stabilite dalla direttiva stessa.

    58 Nel caso in cui uno Stato membro abbia introdotto una deroga nazionale al principio della detraibilità dell’IVA in violazione delle disposizioni della sesta direttiva, il contribuente ha diritto alla detrazione dell’IVA versata sui beni interessati dalla misura nazionale. In tal senso, al punto 64 della citata sentenza Metropol e Stadler, la Corte ha già dichiarato che, qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, che impone agli Stati membri un obbligo di consultazione, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’IVA enunciato dall’art. 17, n. 1, della stessa direttiva.

    59 Il governo italiano sostiene che, per il periodo 2000-2004, il rispetto della procedura prevista dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, il parere favorevole emesso dalla Commissione sulle domande di deroga e la situazione congiunturale in cui si trovava l’economia italiana ostano a che la normativa nazionale sia disapplicata e, quindi, al riconoscimento di un diritto di detrazione a favore del contribuente.

    60 A parere del governo italiano, la seconda questione sarebbe doppiamente irricevibile. Da un lato, essa fa riferimento a periodi anteriori al 2000, che non sono oggetto della causa principale.

    61 Dall’altro, tale questione, nella parte in cui parla di una limitazione della detrazione «in via oggettiva e senza limitazioni di tempo», sarebbe inconferente alla situazione in Italia tra il 2000 e il 2004. Infatti, una prima deroga è stata stabilita fino al 31 dicembre 2000 in seguito a consultazione del comitato IVA e parere favorevole della Commissione. La seconda deroga per tale periodo è stata chiesta con efficacia a partire dal 1º gennaio 2001 ed era preceduta da un parere favorevole della Commissione, che ha ritenuto che la misura fosse giustificata fino all’adozione della nuova direttiva.

    62 Ad ogni modo, il governo italiano sostiene che il fatto che il comitato IVA prenda atto di una misura nazionale derogatoria successivamente all’adozione di tale misura non consente di considerarla illegittima, come statuito dalla Corte, in riferimento all’art. 27 della sesta direttiva, al punto 23 della sentenza Sudholz, citata.

    63 La Stradasfalti sostiene che, nel caso di una violazione dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, l’art. 17, n. 2, della medesima direttiva osta ad una disposizione nazionale che impedisca ai soggetti passivi di esercitare pienamente e immediatamente il loro diritto alla detrazione in relazione all’imposta versata per l’acquisto, l’impiego e la manutenzione di autoveicoli c.d. da turismo.

    Giudizio della Corte

    – Sulla ricevibilità della questione

    64 Come è stato dichiarato al punto 46 della presente sentenza, il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario chiesta da tale giudice non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica o quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza Schneider, cit., punto 22).

    65 Nella fattispecie, dalle osservazioni presentate alla Corte emerge che, sebbene la causa principale riguardi solo l’IVA versata nel corso degli anni 2000-2004, anni per i quali le richieste di consultazione del comitato IVA, secondo il governo italiano, hanno sempre preceduto l’adozione del provvedimento nazionale di proroga, questo in realtà è entrato in vigore prima di tale periodo e viene sistematicamente prorogato da molti anni. Non appare quindi che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non abbia manifestamente alcuna relazione con l’oggetto della controversia.

    – Nel merito

    66 In forza dell’obbligo generale sancito dall’art. 189, terzo comma, del Trattato CE (divenuto art. 249, terzo comma, CE), gli Stati membri sono tenuti a conformarsi a tutte le disposizioni della sesta direttiva (v. sentenza 11 luglio 1991, causa C-97/90, Lennartz, Racc. pag. I-3795, punto 33). Qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’IVA enunciato dall’art. 17, n. 1, della stessa direttiva (v. sentenza Metropol e Stadler, citata, punto 64).

    67 Nella controversia principale, anche se il governo italiano sostiene che le richieste di consultazione del comitato IVA, nel 1999 e nel 2000, hanno preceduto l’adozione della misura nazionale di proroga della disposizione derogatoria al principio del diritto a detrazione dell’IVA, è pacifico che tale disposizione, salvo modifiche di esigua importanza, è stata sistematicamente prorogata dal governo italiano a partire dal 1980. Essa non può presentare quindi un carattere temporaneo e non può nemmeno essere considerata motivata da ragioni congiunturali. Tale misura deve, di conseguenza, essere considerata parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale, non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. Il governo italiano non può dunque invocare tali misure a discapito di un soggetto passivo (v., in tal senso, sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 65).

    68 Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura deve poter ricalcolare il suo debito IVA conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 2, della sesta direttiva, nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta.

    69 Occorre dunque risolvere la prima questione, sub c), seconda parte, e la seconda questione nel senso che, qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’IVA enunciato dall’art. 17, n. 1, della medesima direttiva. Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura derogatoria deve poter ricalcolare il suo debito IVA conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 2, della sesta direttiva, nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta.

    Sulla richiesta di limitazione degli effetti nel tempo della sentenza

    70 Il governo italiano ha evocato la possibilità che la Corte, nel caso in cui dovesse ritenere che le deroghe al diritto a detrazione per gli anni 2000-2004 non siano state introdotte conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, limiti nel tempo gli effetti della presente sentenza.

    71 A sostegno di tale domanda, il governo italiano invoca il grave danno per l’erario che può essere causato dalla sentenza della Corte e la tutela del legittimo affidamento che esso poteva nutrire quanto alla conformità al diritto comunitario della misura in questione. Esso osserva, a tale riguardo, che la Commissione, nel 1999 e nel 2000, ha emesso un parere favorevole alle misure da adottare in attesa dell’approvazione della direttiva che doveva disciplinare in via organica la materia e che la Commissione non ha mai formulato alcuna contestazione alla Repubblica italiana circa il mantenimento della deroga.

    72 Si deve rilevare che solo in via eccezionale la Corte, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico comunitario, può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Per stabilire se si debba limitare la portata di una sentenza nel tempo, è necessario tener conto del fatto che, benché le conseguenze pratiche di qualsiasi pronuncia del giudice vadano vagliate accuratamente, non ci si può tuttavia spingere fino a sminuire l’obiettività del diritto e compromettere la sua applicazione futura a motivo delle ripercussioni che la pronuncia può avere per il passato (sentenze 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. pag. 379, punti 28 e 30, nonché 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a., Racc. pag. I-4625, punto 30).

    73 Nella fattispecie, se è vero che la Commissione ha avallato la domanda delle autorità italiane per gli anni in questione nella controversia principale, dalle osservazioni presentate alla Corte risulta tuttavia che il comitato IVA, fin dal 1980, ha costantemente segnalato al governo italiano come la deroga in questione non potesse giustificarsi sulla base dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, e che l’atteggiamento più conciliante adottato dal detto comitato nelle sue riunioni del 1999 e del 2000 si spiega alla luce dell’impegno assunto dalle autorità italiane di riesaminare la misura a partire dal 1º gennaio 2001, nonché sulla base delle prospettive allora aperte dalla proposta della Commissione di modificare la sesta direttiva per quanto concerne il regime del diritto alla detrazione dell’IVA.

    74 Ciò premesso, le autorità italiane non potevano ignorare che una proroga sistematica, a partire dal 1979, di una misura derogatoria che doveva essere temporanea e che, in virtù della lettera stessa dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, poteva essere giustificata solo da «motivi congiunturali», non era compatibile con tale articolo.

    75 Le autorità italiane non possono, di conseguenza, far valere l’esistenza di rapporti giuridici costituiti in buona fede per chiedere alla Corte di limitare nel tempo gli effetti della sua sentenza.

    76 Inoltre, il governo italiano non è riuscito a dimostrare l’affidabilità del calcolo in base al quale ha sostenuto dinanzi alla Corte che la presente sentenza rischierebbe, qualora i suoi effetti non fossero limitati nel tempo, di comportare conseguenze finanziarie rilevanti.

    77 Di conseguenza, non occorre limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.

    Sulle spese

    78 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

    Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

    1) L’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, impone che gli Stati membri, per rispettare l’obbligo procedurale di consultazione di cui all’art. 29 della medesima direttiva, informino il comitato consultivo dell’imposta sul valore aggiunto istituito da tale articolo del fatto che essi intendono adottare una misura nazionale che deroga al regime generale delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto e che forniscano a tale comitato informazioni sufficienti per consentirgli di esaminare la misura con cognizione di causa.

    2) L’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva 77/388 dev’essere interpretato nel senso che esso non autorizza uno Stato membro ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto senza previa consultazione del comitato consultivo dell’imposta sul valore aggiunto, istituito all’art. 29 della detta direttiva. La detta disposizione non autorizza nemmeno uno Stato membro ad adottare provvedimenti che escludano alcuni beni dal regime delle detrazioni di tale imposta ove siano privi di indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico.

    3) Qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva 77/388, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto enunciato dall’art. 17, n. 1, di tale direttiva. Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura derogatoria deve poter ricalcolare il suo debito d’imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 2, della sesta direttiva 77/388 nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta.

    Articolo pubblicato sul sito www.giurdanella.it in data 19/09/06

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